«L’estate raddolciva le sere, la luna spuntava tra le soavi ondulazioni dei nostri colli carsici; le vacche ruminavano pazienti nella stalla. Noi ragazzini, Marino, la Liviana ed io seduti su una panca, nell’innocenza della giovane età, ascoltavamo a bocca aperta mia nonna, none Nute, fonte di narrazione ancestrale. La ricordo con affetto, sempre vestita di nero, compreso il fazzoletto che teneva in testa; aveva occhi penetranti e intelligenti, lineamenti fieri da discendente di nobile famiglia.

Ci mostrava la costellazione di Orione o i carri dell’Orsa, contemplando l’alone della luna e la pace che ci circondava. Raccontava poi novelle di cavalli alati, di principesse e ranocchi, ma talvolta le sue storie scivolavano su cimiteri, fantasmi, scheletri che camminavano e noi, ammutoliti, prestavamo molta attenzione. Le esponeva candidamente e talmente bene che sapeva dare grande impulso al timore che aleggiava sopra le nostre teste di giovani ascoltatori. Quando raccontava le fiabe dell’oltretomba, tutto si faceva silenzio, l’atmosfera era tesa e noi, così facilmente suggestionabili, sentivamo l’emozione percorrerci le vene. Nella notte, dopo questi racconti, spesso stentavamo ad addormentarci e, come in un vento di leggenda, le visioni dantesche si accavalavano nei nostri sogni.

Il problema era anche rincasare, non tanto per la Liviana ed io che praticamente eravamo a casa, quanto per Marino che doveva percorrere un centinaio di metri prima di arrivarci; immagino ancora oggi il suo patema nella corsa rapida, da velocista, per giungere fino a casa.

Nella sera successiva, al soffio di una brezza benigna, con la luna sorniona che ci strizzava l’occio, tra un coro di grilli canterini e i tranquilli rumori della stalla…noi, seduti sulla panca, aspettavamo impazienti altre stori, altri viaggi fantastici o visioni apocalittiche e… larga la foglia, stretta la via… dite la vostra, che none Nute racconta la sua».

 

da Amleto Failutti, Storie de Sdraussina, 2010
foto di Umberto Ulian